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martedì 21 maggio 2013

La Grande Bellezza, di Paolo Sorrentino

Alessandro il Grande, particolare del mosaico Alexander (circa  100 aC),  Pompei, Italia

Si insiste ancora, ma scevri questa volta dalla violenza procurata, sull'ambivalenza dell'esistenza. 

L'estetica, ovvero l'espressione combinata del silenzio ossequiante, travalica l'oggettività della morte e del sacrificio che ogni film di Sorrentino ha come epilogo categoricamente sempre circoscritto. 

Qui è la scoperta della continuità e dell'eternità, come ne Il Divo, che Sorrentino ancora indaga. Questa volta non del Potere, ma dell'inafferrabilità ed ineffabilità della Bellezza. 

Le esistenze autentiche tacciono, e quando non lo sono appaiono solo inconsapevole rumore, distrazione, diversione, inedia, disagio.  Nella più prossima delle posizioni, impersonalità egoica delle apparenze gesticolanti: malinconia, nostalgia riparatoria, ricongiunzione originaria con le fonti del sentimento. Memoria.

Ma la verità è che la Bellezza tace, non dice della sua proprietà, sfugge alla canonizzazione. Essa unicamente opera, agisce. Conviene, dissipando ogni specificità di senso, ogni articolazione (pre)stabilita della direzione.

La Bellezza è già Bene, è già Buona. 
La Bellezza è già confacente, adeguata alla misura, comoda, opportuna, propizia. 
Agio.

Grazie.







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